Pubblicato su HuffingtonPost.it il 4 Aprile 2025

Era tutto scritto. Trump aveva annunciato da mesi la sua intenzione di colpire l’Europa con nuovi dazi. Lo aveva detto, ripetuto, rivendicato. Eppure il governo italiano ha preferito voltarsi dall’altra parte. Giorgia Meloni ha scelto di non esporsi, pur di non irritare un alleato politico. Ha taciuto per calcolo, illudendosi che bastasse non prendere posizione per restare fuori dal conflitto. Così oggi l’Italia arriva impreparata e senza voce, proprio mentre l’Europa viene colpita.

I dazi non sono propaganda. Sono una mossa concreta che ha conseguenze reali: aumentano i costi, rompono le filiere, rendono più difficile produrre, esportare, lavorare. A pagare non saranno pochi, ma tanti. Le imprese, i lavoratori, le famiglie. Non sarà una crisi limitata a qualche settore. Sarà un colpo all’intero sistema produttivo.

Dietro la retorica del protezionismo si nasconde un vecchio inganno: far credere che chiudere il mondo fuori serva a salvare il lavoro dentro. È l’opposto. In un’economia come la nostra, fondata sull’export e sull’interdipendenza, ogni barriera diventa un ostacolo. Ogni dazio una tassa sul futuro. Ogni chiusura, un rischio in più per chi produce.

Eppure la destra resta in silenzio. Incapace di prendere una posizione chiara. Perché è qui che si consuma la grande contraddizione del sovranismo. Un’ideologia che promette di difendere la nazione ma si scopre debole non appena incontra un nazionalismo più forte. I sovranismi non si sommano, si scontrano. Non cooperano, competono. E quando accade, chi ha meno peso si piega. È esattamente quello che sta accadendo. La destra italiana si inchina invece di reagire. Sceglie la subalternità invece della responsabilità.

L’Italia non ha bisogno di ambiguità, ma di una scelta chiara. E i dazi annunciati da Trump rendono evidente quale debba essere quella scelta. Di fronte a una guerra commerciale che colpisce direttamente la nostra economia, serve una risposta all’altezza. E questa risposta può arrivare solo da un’Europa più forte. Perché in un mondo attraversato da crisi globali, conflitti economici e trasformazioni profonde, nessun Paese può difendere da solo il proprio lavoro, la propria produzione, la propria tenuta sociale.

Rafforzare l’Europa significa costruire protezione reale. Significa dare forza a chi lavora, a chi produce, a chi investe. Significa avere uno spazio politico ed economico in cui far valere i nostri interessi, con pari dignità, senza essere costretti a subire le decisioni altrui. È una scelta di concretezza, non di ideologia. È l’unico strumento che abbiamo per negoziare da pari, per difendere il nostro modello sociale, per affrontare le sfide della competizione globale. Anche contro chi si dice nostro alleato, ma agisce come un avversario.

Per anni la destra ha raccontato un’altra storia. Ha alimentato l’idea che l’Europa fosse il problema, la causa di ogni freno, il nemico da cui liberarci. Oggi è chiaro quanto fosse sbagliata quella narrazione. È proprio l’Europa, se resa più forte e più unita, a offrirci la protezione di cui abbiamo bisogno. Non come rifugio, ma come strumento per esercitare pienamente la nostra sovranità, in un tempo in cui la forza di un Paese non si misura nell’isolamento, ma nella capacità di contare dove si decidono le regole.

Difendere l’interesse nazionale non significa chiudersi, ma saper stare dove si decide il futuro. L’Italia può contare solo se sceglie fino in fondo l’Europa: con credibilità, con coraggio, con responsabilità. Perché oggi è lì che si gioca la sfida decisiva: proteggere il lavoro, tenere insieme crescita e diritti, non restare soli di fronte al mondo.