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Capaci, 23 maggio 1992.
Una ferita da tenere aperta. Perché la giustizia non è solo memoria. È scelta, ogni giorno.
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La famiglia è il posto sicuro, anche quando il mondo gira forte. Grazie dell’affetto di queste ore. 🎈 ...

La pace come scelta. La parola come ponte. Benvenuto, Papa Leone. ...

In coda, nella notte, un fiume silenzioso di persone. Non è solo un addio. È un grazie collettivo. ...

Non ha mai smesso di ricordare al mondo che la vita degli altri ci riguarda. E che nelle tempeste della storia, la sola salvezza possibile è comune.
Un messaggio universale, destinato a restare.
Grazie, Papa Francesco.
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Vi auguriamo una Pasqua serena, da condividere con le persone che amate. Che sia un giorno di pace, in un tempo che ne ha bisogno. ...

Trump apre una guerra commerciale con l’Europa. E la destra italiana, da Meloni a Salvini, abbassa lo sguardo. Troppo legata a quell’alleanza ideologica con il trumpismo per difendere l’interesse nazionale. Troppo impegnata a inseguire il sovranismo americano per riconoscere i danni che quelle scelte producono qui, in Italia. Ma i dazi non sono propaganda: sono una minaccia concreta alla nostra economia, al lavoro, alla tenuta sociale del Paese.

Dietro la retorica del protezionismo si nasconde un vecchio inganno: far credere che chiudere il mondo fuori serva a salvare il lavoro dentro. È l’opposto. A pagare saranno le imprese che esportano, quelle che importano materie prime, le filiere che dipendono dai mercati internazionali. Saliranno i prezzi, si ridurranno le commesse, salteranno posti di lavoro. E a pagare, alla fine, saranno le famiglie.

Non sarà una crisi per pochi. Colpirà il Nord come il Sud. L’industria, l’agricoltura, il commercio. Colpirà anche la Basilicata, che già fa i conti con crisi produttive e mancanza di politiche vere. In una regione dove l’automotive è in affanno e l’agroalimentare si regge sull’export di qualità, ogni barriera in più è un rischio in più.

In questo scenario, servirebbe una destra capace di difendere l’interesse nazionale in Europa. Ma non c’è. C’è solo una maggioranza che rincorre modelli sbagliati e resta muta di fronte a una minaccia evidente.

Noi pensiamo che l’Italia debba restare agganciata all’Europa, contare nelle scelte strategiche, costruire alleanze, non inseguire scorciatoie identitarie. Difendere il lavoro oggi significa stare nella complessità, non alimentare nuovi conflitti. E prendere posizione, con chiarezza, quando in gioco c’è l’interesse del Paese.
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Tre morti sul lavoro in poche ore. A Molino di Campagna, a Sant’Antonio Abate, sull’autostrada vicino Orvieto. Avevano ventidue, cinquantuno, trentotto anni. Non sono numeri. Sono vite spezzate da un sistema che continua a considerare la sicurezza un costo e non un diritto.

Di fronte a tutto questo, non basta più l’indignazione a ogni tragedia. Servono risposte. Servono azioni concrete. Assunzioni negli organi ispettivi, controlli più severi, più formazione, più responsabilità per chi assume. E soprattutto serve un argine netto alla precarietà e ai subappalti a catena che moltiplicano i rischi e scaricano sempre tutto sull’anello più debole.

Il lavoro deve essere dignità, non condanna. E la sicurezza non può continuare a essere il punto cieco della politica. Non ci stiamo più a definire “incidenti” ciò che è ormai parte di un drammatico bollettino quotidiano. Fermare questa strage deve essere una priorità assoluta. Per tutti.
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In poche ore, più di 500 morti a Gaza. Tra loro, tantissimi bambini. Un massacro senza fine che si consuma sotto gli occhi del mondo, mentre l’esercito israeliano annuncia una nuova operazione di terra e il ministro della Difesa dichiara: “Andatevene o vi distruggeremo”. Parole terribili, che segnano il crollo di ogni limite.

Francia, Germania e Regno Unito hanno rotto il silenzio, parlando apertamente di indignazione e chiedendo uno stop all’orrore. L’Italia invece tace. Non è più solo assenza: è un silenzio che pesa, che urla l’indifferenza di chi dovrebbe esporsi.

Abbiamo il dovere di prendere posizione. Il nostro Paese non può continuare a guardare altrove mentre si consumano tragedie che interrogano l’umanità intera. Serve una voce chiara, un’iniziativa forte, un impegno diplomatico concreto per fermare questa carneficina. Tacere, oggi, significa rinunciare tanto alla nostra storia quanto alle nostre responsabilità.
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