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Pedro Sánchez ha avuto il coraggio di dire la verità: il 5% del PIL per le spese militari è una scelta sbagliata. Irragionevole, controproducente, incompatibile con l’idea di Europa che dobbiamo difendere.
Non è aumentando le armi che saremo più sicuri. Questa è l’illusione che sta attraversando il dibattito europeo: pensare che la fragilità dell’Unione si possa compensare con una corsa al riarmo, con 27 Stati che spendono di più, ciascuno per conto proprio, senza un’idea condivisa, senza un progetto politico comune.
Ma l’Europa è debole non perché ha pochi carri armati. È debole perché ha smarrito il coraggio di decidere insieme, perché si rifugia nella logica degli stati-nazione proprio quando servirebbe un salto verso una vera integrazione.
Serve una difesa comune, non la moltiplicazione dei bilanci militari. Serve una politica estera autonoma, non una fotocopia sbiadita di quella altrui.
Sánchez ha ragione: il nostro modello deve restare quello dello stato sociale. La priorità sono la sanità, la scuola, la giustizia sociale. È lì che si costruisce la sicurezza vera. Perché un Paese è forte quando è giusto, quando è coeso, quando non lascia indietro nessuno.
Tagliare sulla spesa sociale per aumentare quella militare non è tecnica contabile. È una scelta politica. Ed è la scelta sbagliata.
È giusto esserci.
Per Gaza, per la pace, per l’umanità.
Il 7 Giugno, in piazza, a Roma.
A Tricarico, dove la politica ha una lunga e profonda storia di giustizia. Per parlare di lavoro, diritti, dignità. E del voto che ci aspetta l’8 e 9 giugno.
È sempre bello tornare in un posto che senti casa, tra volti amici, a fare politica come dovrebbe essere: insieme, con passione, guardando in faccia le cose che contano davvero. Ieri, a Vietri.
Abbiamo parlato di Gaza, dove la fame è diventata un’arma di guerra, e il silenzio è diventato intollerabile. Lo ha detto Papa Francesco: “La pace non è un’utopia, è una responsabilità”. E oggi, davanti a Gaza, il vero spartiacque è tutto qui: tra chi accetta che il mondo sia fatto di vittime silenziose, e chi no.
E poi dei cinque referendum: perché l’8 e 9 giugno non si vota per fare un dispetto a qualcuno, ma per dire qualcosa di molto chiaro sul Paese che vogliamo.
Perché da troppi anni la precarietà è diventata un dazio da pagare sull’altare della competitività, i diritti un ostacolo da rimuovere, le persone numeri dentro un bilancio.
Questi referendum provano a cambiare rotta. A rimettere al centro il lavoro, la dignità, le tutele. Perché chi lavora non chiede privilegi, ma rispetto. E perché non c’è vera democrazia se chi tiene in piedi il Paese ogni giorno viene lasciato solo.
Cinque SÌ per i diritti sul lavoro, la cittadinanza, la giustizia sociale. È un voto che pesa. E che può fare la differenza.
Capaci, 23 maggio 1992.
Una ferita da tenere aperta. Perché la giustizia non è solo memoria. È scelta, ogni giorno.
La famiglia è il posto sicuro, anche quando il mondo gira forte. Grazie dell’affetto di queste ore. 🎈
La pace come scelta. La parola come ponte. Benvenuto, Papa Leone.
A Potenza, per la presentazione di “Chi ha paura delle donne” di @ceciliadelia3 , organizzata dalla Conferenza della Conferenza delle Donne Democratiche della Basilicata.
Un libro necessario, che tiene insieme pensiero politico e biografia, storia collettiva e parole nuove.
La libertà femminile non è una battaglia identitaria: è una sfida democratica che riguarda tutti.
Perché quando si prova a limitare l’autonomia delle donne, non si colpisce solo un diritto.
Si mette in discussione l’idea stessa di uguaglianza e di convivenza.
Grazie a Cecilia per averci regalato uno strumento utile, lucido, coraggioso.
E per il passo con cui continua a camminare: serio, ostinato, giusto.
Viva l’Italia antifascista!
Buon 25 Aprile, a tutti noi.
In coda, nella notte, un fiume silenzioso di persone. Non è solo un addio. È un grazie collettivo.
Non ha mai smesso di ricordare al mondo che la vita degli altri ci riguarda. E che nelle tempeste della storia, la sola salvezza possibile è comune.
Un messaggio universale, destinato a restare.
Grazie, Papa Francesco.
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